?io lo so che non sono solo anche quando sono solo?
Contrariamente a quanto afferma Jovanotti, capita spesso di sentirsi soli anche quando ci si trova in mezzo a tanta gente, e questo ancor di pi quando si tratta della figura del leader, di un manager, un imprenditore o un gestore di risorse in senso pi ampio.
Il comandante sempre l?ultimo ad abbandonare la nave; quante volte abbiamo sentito questa frase.
Ma siamo certi che sia proprio cos o il costrutto legato alla solitudine nei numeri primi, condiziona ogni nostro ragionamento?
La parola leadership la crasi delle parole capo (leader) e nave (ship), il che inevitabilmente ci riporta ancora alla metafora del comandante di una nave, ed il relativo collegamento al mio libro ?una nave chiamata azienda?, una paura casualit, forse.
C? chi ritiene che la solitudine sia un prezzo da pagare quando si ricoprono posizioni di potere, dove la responsabilit e la prese di decisioni sono all?ordine del giorno.
In un periodo in continuo mutamento, il leader deve essere sempre pi un ?portatore sano? di cambiamento, uno ?strumento? privilegiato per arricchire la vita delle persone, ed questo il vero cambio di paradigma sul quale dovremmo concentrarci.
La pandemia ha visto cambiare il panorama economico mondiale, in maniera repentina ed incontrollabile, a causa di una accelerazione tecnologica che senza il Covid-19 avrebbe impiegato tra i 7 e i 10 anni.
Molti di noi hanno dovuto affrontare scelte e compromessi inaspettati. Il passaggio improvviso al lavoro da remoto, l?interruzione dell?assistenza ai bambini o la perdita del lavoro, ci hanno spinto a rivalutare le nostre scelte di vita, comprendere meglio le priorit, i valori, arrivando a indurre nuove decisioni di carriera.
Possiamo dire che niente sar pi come prima, la ?nuova normalit?, ha dato origine ad un punto zero dal quale ripartire con regole nuove, dove la tecnologia riveste un ruolo di primo ordine, nel bene e nel male.
Mai come in questo momento storico, guardando all?interno delle aziende italiane, possiamo notare gruppi di lavoratori eterogeni, oltre che dal punto di vista anagrafico, per quanto concerne valori, visioni, skill, modi differenti di affrontare la vita ed un differente approccio allo sviluppo tecnologico. Ben quattro generazioni a confronto: baby boomer, generazione X, generazione Y e generazione Z. La permanenza dei lavoratori pi anziani e l?allungamento dell?et pensionabile hanno portato a un forte gap generazionale sul lavoro.
Divario tra generazioni che si traduce spesso in difficolt di collaborazione, scontri e pregiudizi: i senior accusano i giovani di non avere sufficiente esperienza e volont, viceversa, i giovani accusano i senior di essere troppo vecchi per conoscere le nuove tecnologie e mercati.
Parliamo di ?Digital Divide?, ovvero il divario di accesso alla tecnologia; spesso non legato agli strumenti in s ma alla mancanza di competenze, dove chi le possiede spesso non lavora, oppure in azienda riveste ruoli marginali o poco considerati, e dall?altra parte i senior che rifiutano l?evoluzione, principalmente per paura di non essere all?altezza.
Quindi se da un lato, presente soprattutto nelle nuove generazioni la tecnofilia, ovvero quell?atteggiamento di chi nutre grande fiducia ed entusiasmo nella tecnologia, con il rischio che possa trasformarsi in una dipendenza patologica, dall?altro, la tecnofobia la paura di utilizzare la tecnologia avanzata. Questa fobia molto comune in vari gradi, generalmente molto pi alta tra coloro che lavorano in un?organizzazione.
L?abuso della tecnologia, la ?demenza digitale?, con le sue patologie, le dipendenze ad essa collegate che stanno rallentando e modificando molte abilit cognitive delle persone.
Siamo perennemente connessi, parte attiva di una ?folla digitale?, dove le varie notifiche, delle pagine social, delle e-mail, dei vari strumenti di marketing automatico, alimentano la dopamina, portandoci a trascorrere sempre pi tempo nelle varie piattaforme, sottraendolo di conseguenza alla nostra quotidianit.
Nonostante questo, spesso ci ritroviamo davanti ad un monitor, scarichi e sempre pi stressati.
Non a caso dal 2007 in Italia il ?Tecnostress? riconosciuto come malattia professionale e rientra nell?obbligo di valutazione dei rischi sulla sicurezza e salute nei loghi di lavoro ai sensi del TUSL d.lgs 81/2008.
In tutto questo l?imprenditore non certo escluso, anzi, il tecnostress direttamente collegato alla dipendenza da lavoro, (workaholism) tipica di chi sente il peso delle responsabilit.
L?incapacit di staccare dal lavoro (inability to switch off), si ricollega alla paura di perdere richieste ed opportunit lavorative. Per questo motivo si tende ad essere perennemente reperibili (always on) e l?ansia da disconnessione ci porta a controllare compulsivamente i nostri dispositivi.
Reperibilit costante, multitasking, richieste continue di attenzione a sempre maggiori flussi di informazioni, se non si pone maggiore attenzione, condizionano il nostro stile di vita, generando un inevitabile conflitto famiglia-lavoro, a causa della sovrapposizione degli spazi personali e professionali causati dalla reperibilit tecnologica.
Viviamo in una immensa community dove il confine tra virtuale e reale rischia di farci sentire sempre pi soli, in mezzo ad una folla di persone sole.
Articolo originariamente pubblicato su:
https://robertochessa.it/tecnostress-in-azienda-il-punto-di-non-ritorno/
01/12/2023
fonti:
Alfred Spitzer, ?Demenza digitale?, Corbaccio Editore, 2013
Luca Bernardelli, ?Giuda psicologica alla rivoluzione digitale?, Giunti, 2022
Giuseppe Lavenia, ?Le dipendenze tecnologiche?, Giunti, 2018